Una coperta molto corta per la legge di bilancio 2025

e, ancora una volta, potrebbero essere i pensionati a pagarne pegno.

Alla vigilia dell’inizio del cammino per la definizione della manovra economica 2025, il quadro complessivo presenta quest’anno percorsi più complessi, impegni più gravosi e disponibilità finanziarie alquanto ristrette.

Vediamo innanzitutto la tempistica della prossima manovra economica: entro il 20 settembre p.v., ed è questa una novità assoluta, il Parlamento dovrà approvare la risoluzione sul DPB (Documento Programmatico di Bilancio) predisposto dal Governo, che imporrà un risparmio tra gli 8 e i 10 mld € per gli impegni legati al nuovo “patto di stabilità” concordato con l’Europa per il rientro dal nostro enorme debito pubblico (nel 2023, 137,3%), che è arrivato a sfiorare i 3mila mld di € (a giugno scorso, record di 2948,5 mld di € certificato della Banca d’Italia). Entro fine settembre, poi, il Governo dovrebbe presentare, in linea con il DPB, la nota di aggiornamento del DEF, che, come si ricorderà, è stato varato a maggio scorso con il solo “quadro tendenziale”, e cioè i numeri e le stime sui conti pubblici, ma senza anche, come sempre avvenuto, il “quadro programmatico” (gli obiettivi di finanza pubblica, cioè impegni e riforme), rinviati appunto alla nota di aggiornamento di settembre.

A seguire, il cammino della manovra economica vedrà, entro fine ottobre, la presentazione in Parlamento del DDL Bilancio varato dal Consiglio dei Ministri che recherà al suo interno le misure di dettaglio; infine, l’esame delle Camere e il varo entro l’anno della legge di bilancio, che entrerà poi in vigore dal 1° gennaio 2025.

In merito ai contenuti della manovra economica, gli impegni più ché gravosi del Governo, riaffermati anche di recente dal Ministro Giorgetti, riguardano innanzitutto la conferma per il 2025 del taglio al cuneo contributivo per i redditi fino a 35mila € lordi e la riproposizione della rimodulazione da quattro a tre delle aliquote fiscali (ma si parla anche di ridurre di un punto l’aliquota intermedia dal 33 al 32%), per le quali operazioni serviranno complessivamente circa 20 mld di €. Per far fronte a questi e ad ulteriori importanti impegni (rinnovo CCNL pubblici, dai 5 ai 6 mld; missioni internazionali con un costo di circa 1,2 mld; risorse maggiori per il Fondo sanitario nazionale, il Ministro Schillaci ha chiesto 4 mld; altri impegni), le risorse allo stato disponibili non appaiono sicuramente adeguate e sufficienti. In cassa, infatti, ci sarebbero solo una ventina di mld. di €, di cui i 9 mld. attesi presuntivamente dal combinato tra nuova spending review delle AA.CC. e riordino delle detrazioni fiscali e 10 mld circa di extragettito derivante da maggiori entrate fiscali, come reso noto giorni fa dal MEF.

Dunque, una coperta che quest’anno si presenta davvero molto corta, e a pagarne pegno potrebbero essere ancora una volta proprio le pensionate e i pensionati, quelli già tali e quelli prossimi a diventarlo, in quanto il sistema previdenziale potrebbe essere chiamato di nuovo, come già avvenuto nel 2023 e 2024, a fare cassa.

Diamo allora uno sguardo più da vicino alle diverse ipotesi allo studio in materia di pensioni 2025.

Intanto, partiamo subito col dire che, in assenza di interventi (proroghe di “quota 103”, “APE Sociale” e “Opzione donna”, che consentono oggi l’uscita anticipata dal lavoro a partire rispettivamente da 63, 61 e 62 anni, che il MEF non guarderebbe di buon occhio), dal 1° gennaio 2025 entrerebbe in vigore a pieno regime la legge Fornero senza più uscite anticipate per quote o altro, il che sarebbe proprio l’esatto opposto degli intendimenti, da tanto tempo annunciati e più volte ribaditi, di cancellare definitivamente quella legge che troppi danni ha fatto sinora.

Ultimamente, si è molto parlato, per il 2025, di “quota 41” (uscita con 41 anni di contributi, al netto dell’età anagrafica, scelta da noi sostenuta convintamente da anni), ma pare proprio che non se ne farà nulla, per il MEF avrebbe costi troppo alti; di contro, da parte dello stesso MEF, si starebbe addirittura ipotizzando l’allungamento della “finestra mobile” della pensione anticipata ordinaria, alzandola dagli attuali 3 a 6 mesi, con uscite più allungate (43 anni e 3 mesi per gli uomini, un anno in meno per le donne): la logica, è ovviamente quella di trattenere i lavoratori di più in servizio, differendone nel tempo il collocamento in pensione, solo per fare cassa.

Che poi è la medesima logica che ispira un’altra ipotesi di cui si è letto in questi giorni: cancellare l’obbligo di pensionamento dei dipendenti, oggi fissato per pubblici e privati a 67 anni d’età, e, per i soli lavoratori pubblici che hanno maturato i requisiti per la pensione anticipata ordinaria, a 65 anni d’età (limite ordinamentale di servizio), consentendo così, in assenza di domanda di pensionamento, la permanenza al lavoro fino a 70/71 anni. Con l’intento non troppo nascosto di ottenere così due piccioni con una fava: fare cassa sulle pensioni differendone l’erogazione, e mantenere i lavoratori in servizio per ulteriori 3/4 anni, mettendo così delle pezze, ancorché provvisorie, agli spaventosi vuoti di organico che registrano oggi le PP.AA., alle quali sarebbe così concesso di continuare a servirsi di personale già formato a fronte della nota mancanza di formazione adeguata dei neo-assunti. Un’ipotesi sulla quale il Segretario Generale FLP, Marco Carlomagno, ha già espresso (vds La Repubblica del 7 u.s.) la propria opinione al riguardo: “E’ giusto dare la possibilità di rimanere al lavoro un po’ più a lungo, ma deve trattarsi di una scelta volontaria, da valorizzare con attività di mentoring nei confronti dei neo assunti”; e comunque, questa possibilità “non deve in nessun modo diventare un caso per frenare o rinviare le assunzioni dei giovani, per i quali sono necessari programmi seri di formazione e possibilità di carriera”.

Posizioni davvero molto chiare, che non necessitano di ulteriori commenti al riguardo.

Per completare il giro, parliamo infine di perequazione, pensione dei giovani e di previdenza complementare.

In materia di perequazione, pur a fronte oggi di una inflazione sensibilmente ridotta rispetto a quella a due cifre di qualche tempo fa che hanno portato alle scelte 2023 2 2024 di un minore adeguamento per le pensioni superiori a 4 volte il minimo (2432,76 € lordi), gli intendimenti del MEF parrebbero orientati a confermare la minore copertura per queste ultime e (forse) a inasprirla per le pensioni più alte, mentre per le pensioni minime (oggi pari a € 598,60) che hanno beneficiato in questi due anni di una perequazione superiore (120%), a fronte di una inflazione media 2024 verosimilmente all’1,6%, si parla di una conferma della maggiore perequazione (salirebbero a € 608,19) o addirittura di un ulteriore incremento, che noi ovviamente sosteniamo.

Per i giovani, sempre più spesso con lavori part-time, precari, mal pagati e discontinui, che preoccupano fortemente tutti gli attori in campo anche per una possibile e futura emergenza sociale, da tempo la nostra O.S. chiede l’adozione di misure strutturali, attraverso la valorizzazione dei periodi di disoccupazione, di formazione e di retribuzioni basse, che assicurino, al momento della collocazione in pensione, un assegno dignitoso.

Purtroppo, da quel che comprendiamo, non ci pare che, negli intendimenti del Governo per la prossima legge di bilancio, ci sia uno spazio seppur minimo per scelte di questa natura. E la circostanza non ci piace proprio.

Sulla previdenza complementare, l’idea del MEF sarebbe quella di potenziarla ulteriormente, ma di farlo destinando obbligatoriamente alla stessa il 25% del TFR, che a noi appare una scelta decisamente indigeribile.

Queste, dunque, le ipotesi in campo per le pensioni 2025 di cui si sta parlando molto in questi giorni. Ovviamente, si tratta di ipotesi che circolano, in mancanza, allo stato, di qualsiasi confronto del Governo con le Parti sociali, che come CSE-FLP Pensionati chiediamo e sollecitiamo da tempo. E’ quasi un anno che manca un tavolo di confronto politico con le Rappresentanze sindacali sul fronte delle pensioni, e anche i tavoli tecnici avviati ad inizio legislatura dalla Ministra Lavoro che pure avevamo apprezzato, sono da tempo morti e sepolti.

Non sappiamo quali siano, allo stato, le reali intenzioni del Governo, ma continuiamo a pensare che un confronto serio e responsabile tra Parti sociali e Governo, e non di pura facciata o di mera comunicazione di decisioni già prese magari alla vigilia del varo dei provvedimenti, sia la condizione prima e ineludibile per affrontare problematiche che hanno ricadute importanti e decisive sulla vita di milioni e milioni di cittadini e sulle famiglie.

Con riserva di ulteriori informazioni al riguardo.

 

Il Coordinamento Nazionale CSE FLP Pensionati

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