Ridotti i coefficienti di trasformazione, pensioni piú basse nel 2025

INPS corregge sugli applicativi l’aumento dei requisiti per le pensioni 2027

L’arrivo dell’anno 2025, che abbiamo festeggiato solo pochi giorni fa, oltre alle non certo positive novità in materia di pensioni recate dalla legge di bilancio e che abbiamo riportato in modo molto sintetico nel precedente Notiziario (seguirà un successivo Notiziario con tutte le opzioni di pensionamento per il 2025), porta una cattiva notizia ai pensionandi 2025, e che possiamo così sintetizzare: chi andrà in pensione nel 2025, godrà di una pensione più bassa (- 2% circa) rispetto a chi, a parità di versamenti contributivi (c.d. “montante”) è andato in pensione nell’anno 2024, e questo a causa dell’aggiornamento del c.d. “coefficiente di trasformazione”.

Se il paragone viene poi esteso agli anni precedenti, la riduzione appare ancora più pesante (per es., rispetto al 2009, le pensioni 2025 risultano ridotte dell’8,6%).

Vediamo di cosa si tratta, precisando in partenza che il problema di cui stiamo parlando riguarda i futuri pensionati con applicazione, totale o in quota, del sistema contributivo, e non chi in pensione lo è già.

Come noto, la riforma delle pensioni varata nel 1995 dall’allora Governo Dini (legge 8.08.1995, n. 335) ha introdotto il sistema di calcolo contributivo, che prevede che l’importo della pensione annua si ottenga moltiplicando il montante contributivo del pensionando per il c.d. “coefficiente di trasformazione” legato all’età anagrafica precisa in cui si esce: l’importo così ottenuto, si divide per 13 mensilità e si ottiene l’importo della pensione lorda mensile.

Il “coefficiente di trasformazione” viene rideterminato ogni due anni dal Ministero del Lavoro di concerto con il Ministero dell’Economia sulla base dei dati ISTAT sulla speranza di vita. I coefficienti di trasformazione applicati al montante contributivo, annualmente rivalutato, sono però collegati all’età di collocamento in pensione del destinatario: più si anticipa il collocamento in pensione più si godrà di un “coefficiente di trasformazione” ridotto in quanto il periodo di fruizione della pensione sarà più lungo.

Ebbene, dopo il biennio 2023-2024 nel quale si è registrato un aumento dei “coefficienti” dovuto in particolare alla vicenda Covid che aveva ridotto la speranza di vita, il trend è ritornato in ascesa in ragione della ripresa in aumento delle aspettative di vita: con decreto direttoriale interministeriale del 20.11.2024, qui allegato, sono stati aggiornati in riduzione i coefficienti di trasformazione a decorrere dal 1.1.2025 che comporteranno, per chi andrà in pensione nel corrente anno con  almeno una parte dell’assegno calcolato  con il  sistema contributivo, una significativa riduzione dell’assegno pensionistico (-2%) rispetto a coloro che sono andati in pensione nel 2024.

In virtù del predetto aggiornamento, per esempio, per chi va in pensione di vecchiaia a 67 anni, il nuovo coefficiente passa da 5,723 a 5,608 % riducendo conseguentemente l’assegno di pensione 2025 rispetto al 2024: con un montante contributivo a 150mila €, si perdono 173 €; con montante a 200mila €, si perdono 230 €; con montante a 250mila €, si perdono 288 €.

Un effetto negativo che verosimilmente si registrerà ancora nei prossimi anni in ragione della attesa crescita della speranza di vita, che rappresenta indiscutibilmente un fenomeno in positivo, ma che sul versante pensionistico mostra ricadute significativamente negative.

Per questo, noi pensiamo che un ripensamento a tal riguardo vada operato, e ci ripromettiamo di sollevare il problema se e quando si aprirà l’atteso tavolo di confronto con il Governo sulla riforma delle pensioni.

Concludiamo con una questione che è esplosa in questi giorni, anch’essa legata all’attesa di vita che cresce. Con l’entrata del nuovo anno, INPS ha recepito il dato di crescita, registrato da ISTAT e confermato dalla Ragioneria dello Stato, in tutti i suoi applicativi, con il risultato di far crescere sui propri programmi di proiezione i requisiti per il collocamento in pensione dal 2027 (per la pensione di vecchiaia: 67 anni e 3 mesi, invece dei 67 anni attuali, e 67 anni e 5 mesi nel 2029; per quella anticipata ordinaria: 43 anni e 1 mese di contributi per gli uomini invece degli attuali 42 anni e 10 mesi – un anno in meno per le donne; dal 2029, ulteriori due mesi). Il tutto, in mancanza peraltro di decreto interministeriale MEF-Lavoro per fissare i requisiti di uscita a partire dal 1.1.2027, imprescindibile per dare il via all’operazione di adeguamento dei software INPS.

La circostanza non è ovviamente passata inosservata, e ha costretto INPS ad una prima smentita, con la quale l’Istituto ha negato “l’applicazione di nuovi requisiti pensionistici” e assicurato “che le certificazioni saranno redatte in base alle attuali tabelle”. A distanza di alcune ore, INPS ha proceduto alla correzione dei propri data base, cui poi sono seguite le precisazioni dei Vertici politici del Ministero del Lavoro (prima il Sottosegretario Durigon, poi anche la Ministra Calderone) che hanno negato, allo stato, qualsiasi incremento dei requisiti. Hanno precisato che l’eventuale incremento potrà avvenire solo dopo l’emanazione del previsto decreto interministeriale, e dunque a valle di una decisione politica; infine hanno assicurato il proprio impegno a trovare le più adeguate soluzioni allo scopo di evitare l’incremento dei requisiti dal 2027.

La vicenda di che trattasi, che ha fatto naturalmente parecchio rumore, evidenzia in ogni caso la necessità, da noi ripetutamente segnalata e peraltro anche qui richiamata, di una attenta e puntuale verifica delle regole tuttora vigenti per l’uscita dal mondo del lavoro, a oramai trent’anni dalla riforma Dini.

E per questo auspichiamo l’avvio di un tavolo di confronto con il Governo da noi più volte richiesto, in assenza purtroppo da quasi due anni di qualsiasi confronto di merito tra Governo e Parti Sociali.

Il Coordinamento Nazionale CSE FLP Pensionati

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