PARTE IL RICORSO RISARCITORIO alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) organizzato dalla Confederazione Generale Sindacale (C.G.S.) CONTRO IL BLOCCO DEI CONTRATTI E DELLE RETRIBUZIONI NEL PUBBLICO IMPIEGO
15 Mar 2016 - Notiziari CGS
Dalle ore 20,00 di lunedì 14 marzo 2016 è attiva sul portale www.ricorsocgs.it la piattaforma per registrarsi e partecipare al ricorso alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.) organizzato dalla Confederazione Generale Sindacale (C.G.S.) contro il blocco dei contratti e delle retribuzioni nel pubblico impiego.
Il ricorso risarcitorio.
Come è ormai noto, in seguito al ricorso presentato dal Sindacato FLP, la Corte Costituzionale, a cui il giudice de quo aveva rimesso gli atti, con la sentenza n. 178 del 2015 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che avevano disposto il blocco della contrattazione collettiva nel pubblico impiego.
Tale illegittimità costituzionale è stata definita “sopravvenuta” dalla Corte (a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza n. 178/2015 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana), senza fornire spiegazioni o illustrare ragionamenti giuridici plausibili sul perché l’illegittimità costituzionale del blocco dei contratti e delle retribuzioni nel pubblico impiego si sostanzierebbe solo “da quel momento”. Ciò farebbe quindi pensare che se il pronunciamento fosse avvenuto prima del 23 luglio 2015 (data di deposito della sentenza) anche tale “sopravvenienza” sarebbe stata fissata in una data diversa ed antecedente.
Vi è inoltre da dire che il governo ha indicato, nella legge di stabilità per il 2016 le risorse disponibili per i rinnovi contrattuali dal 1° gennaio 2016, quantificandole in misura insufficiente e ridicola.
Inoltre, in spregio della stessa sentenza della Corte Costituzionale, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate e, in particolare dell’articolo 16 del d.l. 98/2011, nulla è stato previsto per il periodo compreso tra il giorno successivo alla data di pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale e il 31 dicembre 2015.
Appare quindi evidente che il legislatore nazionale, con le norme censurate, ha violato le disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che riconoscono il diritto dei lavoratori ad associarsi in organizzazioni sindacali ed a concludere, anche per il tramite di tali organizzazioni, contratti collettivi per disciplinare il contenuto economico e normativo dei rapporto di lavoro.
Sotto questo profilo, pare evidente come la libertà sindacale si manifesti innanzitutto proprio nel potere di concordare le condizioni economiche cui dovranno essere stipulati i contratti di lavoro.
Pertanto, limitare tale possibilità di negoziare le condizioni economiche vulnera il nucleo essenziale della libertà sindacale: “tutelare in forma collettiva (associativa) i diritti e gli interessi dei lavoratori e delle stesse organizzazioni sindacali”.
Il legislatore ha altresì violato l’articolo 1, protocollo 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, arrecando un vulnus alle condizioni patrimoniali e reddituali dei lavoratori, che ricomprendono anche le ragioni di credito dei lavoratori stessi nei confronti dei datori di lavoro.
Bisogna inoltre considerare che, oltre ad attuare il blocco delle retribuzioni, i governi che si sono succeduti negli ultimi 6 anni hanno anche omesso di ricalcolare, seppure virtualmente, le indicizzazioni di riequilibrio degli stipendi dei pubblici dipendenti erosi dall’inflazione… determinando e cristallizzando così una riduzione della base stipendiale sulla quale andare ad effettuare il ricalcolo per l’adeguamento inflazionistico una volta rimosso il blocco della contrattazione.
Un ulteriore danno è poi derivato ai dipendenti pubblici, nei confronti dei quali per sei anni è stato applicato illegittimamente il blocco delle retribuzioni, sotto il profilo pensionistico.
Il sistema previdenziale italiano è ormai uniformato al criterio contributivo e, quindi, una minore retribuzione che determina una minore contribuzione produce l’inevitabile risultato di ridurre ulteriormente i futuri trattamenti pensionistici.
Tanto premesso le Organizzazioni Sindacali che aderiscono alla Confederazione generale Sindacale (CGS) si fanno promotrici di un’ampia azione collettiva dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.) istituita dall’art. 19 della Convenzione proprio “per assicurare il rispetto degli impegni derivanti alle Alte Parti contraenti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli”.
Tale azione è preordinata non solo a tutelare il diritto e l’interesse dei lavoratori al ripristino della dinamica delle relazioni sindacali ma anche ad ottenere il risarcimento del danno da loro patito a causa del blocco della contrattazione collettiva.
Danno che, considerato sia il tasso di inflazione riscontrato nel periodo di sospensione del diritto di contrattazione, che l’indice dei prezzi al consumo armonizzato (IPCA), può essere stimato in diverse migliaia di euro pro capite.
Tutti i lavoratori in servizio (o ancora in servizio nel 2015) che hanno patito la cristallizzazione dei propri trattamenti economici e la riduzione del potere di acquisto del loro salario quale effetto della crisi economica hanno l’opportunità di rivolgersi ad un giudice sovranazionale (la CEDU) che riconosca le loro ragioni.
In caso di accoglimento del ricorso la CEDU liquiderebbe un importo a titolo di indennizzo per ristorare in termini economici gli interessati per i pregiudizi patiti a seguito del blocco della contrattazione.
In aggiunta a tale iniziativa, viste le disposizioni della legge di stabilità ed il tenore della risposta resa dal Dipartimento della Funzione Pubblica della P.C.M. alla formale richiesta, formulata dalla FLP, di apertura del tavolo negoziale anche per il periodo 30 luglio – 31 dicembre 2015, le sigle sindacali che stanno promuovendo il ricorso alla C.E.D.U. procederanno anche alla proposizione di un ricorso al Tribunale di Roma, sezione controversie del lavoro, avente ad oggetto l’accertamento del diritto ai rinnovi contrattuali, a far data non solo dal 30.07.2015 (cioè dal mese successivo alla pubblicazione della sentenza n. 178 della Corte Costituzionale sulla G.U.), ma anche per i periodi precedenti per i quali era stato disposto il blocco contrattuale.
Gli studi legali che cureranno il ricorso non escludono comunque di poter supportare l’azione dinnanzi alla CEDU con altre iniziative di carattere giudiziale da proporre in alcuni tribunali italiani.
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Precisiamo comunque che, al di là di quelli che potranno essere gli effetti giuridici dell’azione prettamente sindacale, l’eventuale indennizzo per il ristoro, in termini economici, per i pregiudizi patiti a seguito del blocco della contrattazione, potrà essere riconosciuto dalla CEDU soltanto in favore dei ricorrenti.
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L’adesione al ricorso è possibile unicamente attraverso la piattaforma informatica pubblicata sul portale web: www.ricorsocgs.it
Roma, 15 marzo 2016