Nessuna riforma delle pensioni per il 2024, solo manutenzione
conferma quota 103 e proroghe ape social e opzione donna le ipotesi in campo
Come avevamo paventato e anche scritto (si veda il Notiziario n. 8 del 20 aprile u.s.) all’indomani dell’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del DEF (Documento di Economia e Finanza) 2023, è oramai sicuro che anche per quest’anno, al pari degli anni precedenti, dobbiamo mettere da parte ogni speranza che la prossima manovra di bilancio rechi la tanto attesa riforma strutturale del sistema pensionistico, che i lavoratori attendono invano da oltre 10 anni, e cioè dall’entrata in vigore della legge Fornero (D.L. 6.12. 2011, n. 201, c.d. “decreto salva Italia“, poi convertito nella Legge 22.12 2011 n. 214).
Lo ha di fatto ufficializzato la stessa Presidente del Consiglio nel corso dell’incontro con le Parti sociali del 31 maggio u.s., nel quale la stessa Presidente ha comunque aperto alla possibilità di istituire a breve un tavolo di confronto presso il Ministero del Lavoro sulla c.d. “flessibilità in uscita” allo scopo di valutare la praticabilità, in particolare finanziaria, di nuovi interventi tampone, che rendano possibile nel 2024 il collocamento in pensione in via anticipata rispetto alle due opzioni offerte dalla Fornero: la pensione di vecchiaia a 67 anni o quella anticipata con anzianità contributiva pari a 42 anni e 10 mesi (41 per le donne), con il primo rateo di pensione a tre mesi dalla maturazione del requisito (c.d. “finestra mobile”).
Una minestra, però, trita e ritrita, che pensavamo di non dover più assaggiare alla luce degli annunci e degli impegni assunti dalle forze di governo in campagna elettorale poi purtroppo dimenticati e disattesi.
Le ragioni di questo ennesimo slittamento sono ovviamente tutte di natura strettamente finanziaria: non ci sarebbero le risorse sufficienti per un intervento strutturale sulle pensioni, o, per meglio dire, le poche risorse disponibili (allo stato, pare 4-5 miliardi di €) verrebbero orientate verso altre direzioni, in primis riduzione del cuneo fiscale e altri interventi in materia fiscale, magari destinati al lavoro autonomo.
E allora, stando così le cose, è di tutta evidenza che gli interventi in materia pensionistica nel 2024 non potranno che essere limitati, e peraltro finanziariamente non impegnativi, e dunque solo una piccola e modesta manutenzione rispetto al quadro oggi vigente. Il tavolo tecnico proposto alle Parti sociali dall’on. Meloni nell’incontro del 31 u.s., e che dovrebbe partire a breve, ha dunque un obbiettivo: quello di discutere e approfondire quali interventi possano essere operati nell’anno a venire come anticipi pensionistici, e dunque relativamente a “quota 103”, “APE social” e “opzione donna”. Vediamo come.
· Quota 103
Le ipotesi 2024 allo studio del Ministero del Lavoro pare siano due: la prima è quella di una riproposizione di questa opzione con gli stessi requisiti (62 anni d’età e 41 di anzianità contributiva) anche per il 2024; la seconda è quella di una sua rivisitazione, prevedendo eventualmente un ulteriore strumento di flessibilità (“quota 104”?). In ogni caso, si tratterebbe a nostro avviso solo di un piccolo contentino, destinato peraltro ad una platea molto ridotta di lavoratori, con ciò rinviando così, ancora una volta, a tempi futuri, il nodo gordiano ed irrisolto della maggiore flessibilità in uscita per tutti.
· APE Social
Come si ricorderà, l’ultima legge di Bilancio ne ha disposto la proroga a tutto il 2023, peraltro senza modifiche rispetto all’anno precedente, e dunque con la piena riconferma dei requisiti di accesso fissati dalla legge di bilancio 2022, che ne aveva peraltro anche allargato la platea: 63 anni di età e 30 anni di contributi per disoccupati, caregiver, lavoratori con handicap pari ad almeno il 74%; sempre 63 anni ma con 36 anni di contributi, invece, per addetti a mansioni gravose/pesanti, che comunque debbono essere state effettuate per 6 anni negli ultimi 7, o per 7 anni negli ultimi 10.
L’ipotesi allo studio del Ministero del lavoro sarebbe quella di una ulteriore riproposizione di questa opzione anche per il 2024 con gli stessi requisiti previsti per gli ultimi due anni. A nostro avviso, una variante però andrebbe operata, ed è quella, da una parte di ridurre a 30 anni il requisito contributivo per l’APE Sociale dei lavori gravosi e, dall’altra, di aggiornare ed estendere le attività gravose e usuranti ampliandone al tempo stesso ulteriormente la platea, a partire dagli operatori della Sanità.
- Opzione donna
E’ noto a tutti come la legge di bilancio 2023 abbia prorogato opzione donna a tutto il 2023, ma con tutta una serie di modifiche restrittive. Rispetto ai requisiti previsti nel 2022 (35 anni servizio e 59 anni d’età, 60 per le lavoratrici autonome), la legge di bilancio ha confermato i 35 anni come requisito di anzianità da maturarsi entro il 31.12.2022, ma al tempo stesso ha ridotto enormemente la platea limitandola a sole tre categorie: donne inabili al lavoro almeno al 74%; caregiver familiari di conviventi con disabilità o non autosufficienti; lavoratrici in esubero o licenziate da aziende per le quali è aperto un tavolo di crisi. Inoltre, per accedere a “opzione donna” occorre avere 60 anni d’età (prima era 59 anni per le lavoratrici dipendenti), che si riduce a 58 anni con due figli o per dipendenti/licenziate, e a 59 con 1 figlio. E’ allora di tutta evidenza come le modifiche restrittive abbiano ridotto la platea delle lavoratrici interessate a poche migliaia, tenuto anche conto del fatto che il calcolo dell’assegno pensionistico relativo a opzione donna viene operato su base esclusivamente contributiva, il che lo riduce non poco (fino al 30%).
Anche per questo, la richiesta unanime del tavolo sindacale negli incontri al Ministero del Lavoro, CSE in primis, è stata quella di un ritorno in toto ai requisiti del 2022 azzerando le modifiche restrittive 2023, una richiesta che la Ministra Calderone si era impegnata peraltro a portare all’attenzione del C.d.M.
A tal riguardo, non si registrano sviluppi al momento, anzi le ultime novità vanno in una direzione opposta: gli emendamenti al Decreto Lavoro in fase di conversione, che miravano a rendere meno stringenti i vincoli attuali, sono stati scartati in Commissione Lavoro al Senato nella seduta del 30 maggio. Inoltre, si starebbe anche ipotizzando la cancellazione di opzione donna nel 2024, e solo per far cassa.
Per quanto ci riguarda, alla luce della mancata riforma pensionistica, pensiamo possa essere utile una proroga al 2024 di opzione donna, con il ripristino integrale dei vecchi requisiti.
Dunque, sono queste le opzioni attualmente allo studio del Ministero del Lavoro, e che verosimilmente saranno oggetto di confronto con le Parti sociali nel tavolo tecnico di prossima convocazione.
Noi però pensiamo che sia necessario discutere anche di altro paio di questioni:
- in primo luogo, la proroga del collocamento in pensione per i lavoratori c.d. “precoci” (e cioè coloro che prima dei 19 anni avevano già maturato almeno 12 mesi di contributi) per poter consentire a questi lavoratori, anche nel 2024, di poter andare in pensione con 41 anni di contributi maturati, indipendentemente dal requisito anagrafico e di genere (dunque, sia uomini che donne);
- in secondo luogo, almeno avviare la discussione sul tema “pensione di garanzia per i giovani” al fine di assicurare ad essi, al momento della collocazione in pensione, un assegno dignitoso, un tema questo che appare sempre più esplosivo in ragione della diffusione dei lavori precari, discontinui, part-time e con redditi molto bassi, i cui effetti pesantissimi sul “versante pensioni” appaiono di tutta evidenza e preoccupano fortemente anche per una possibile e futura emergenza sociale.
Vedremo se e come si svilupperà il confronto al Ministero del Lavoro, e ne daremo conto.
Ultima annotazione: l’INPS ha diffuso qualche giorno fa il proprio bilancio 2022, dal quale emergono numeri davvero incoraggianti, che ci confortano sulla possibile praticabilità finanziaria di alcuni obiettivi di cui parliamo da tempo ma rimasti sinora irrealizzati, in primis quello della liquidazione di TFS/TFR al momento della collocazione in pensione dei lavoratori pubblici e quello, ancor più impegnativo della separazione della spesa pensionistica da quella assistenziale. Ci ritorneremo a breve.