Mance anzichè servizi e investimenti: questa la legge di bilancio 2018 che immagina il governo Gentiloni.
6 Nov 2017 - Archivio vecchi Notiziari CSE, Slider
Penalizzato ancora una volta il lavoro stabile, l’Italia continua ad arretrare nella competizione globale.
A leggere solo i saldi del Disegno di Legge di bilancio per il 2018 presentato dal Governo Gentiloni alle Camere, si sarebbe tentati di dire che, finalmente, quella immaginata non è una “finanziaria” elettorale. La previsione è, infatti, di un calo delle entrate fiscali (-0,6 per cento del PIL) dovuto principalmente alla cancellazione delle clausole di salvaguardia (cioè non aumenteranno, come previsto, IVA e accise), compensato in parte da (blande) misure di lotta all’evasione fiscale, in parte da una nuova rottamazione delle cartelle esattoriali. Ciononostante, è previsto un calo del deficit complessivo, finanziato da un calo della spesa maggiore del calo delle entrate fiscali. Tutto bene, verrebbe da dire poiché, in vista delle elezioni, si tende a spendere tanto e a peggiorare i conti pubblici per assicurarsi consenso.
Invece no! Basta leggere le varie voci della Legge di bilancio per rendersi conto che prosegue la tendenza, che ha contraddistinto tutta la legislatura, di dare mance e mancette anziché i servizi che i cittadini aspettano e si rischia di peggiorare ulteriormente la condizione competitiva dell’Italia e di conseguenza il lavoro, sempre più precario e meno specializzato. Inoltre, i tagli di spesa sembrano appartenere più alla categoria della fantasia contabile che a quella della realtà verificabile e della trasparenza.
Vi facciamo alcuni esempi: in un Paese che ha favorito – o comunque accettato senza battere ciglio – la chiusura della maggior parte delle fabbriche che costruiscono bus e treni, e nel quale i pendolari sono costretti a viaggiare in carri bestiame perennemente in ritardo, continua a latitare un piano trasporti nazionale ma arriva la possibilità di detrarre dalle tasse il 19 per cento degli abbonamenti di bus e treni. Cioè, si continuerà a viaggiare in carri bestiame ma si potrà dire a chi si lamenta: “Cosa vuoi, ti ho dato la mancia, non lamentarti!”.
Inoltre, c’è di nuovo un finanziamento per chi assume con contratto a tutele crescenti (cioè precariato a vita) gli “under 35”, ma non si creano le condizioni per aumentare il lavoro qualificato e stabile. Non è bastato il flop della decontribuzione per tre anni, con il numero di assunti che è calato non appena è finito il bonus. Si continua a buttare fumo negli occhi degli italiani facendo credere che il lavoro stabile si crea dando soldi agli imprenditori anziché finanziando la formazione (università e scuola) e investendo in ricerca e sviluppo, settori in cui il divario con i paesi a maggior industrializzazione (Germania in testa) cresce anziché ridursi.
Stessa cosa per la lotta alla povertà e la spesa sanitaria: pochi soldi per l’una e tagli continui sull’altra. Il definanziamento della sanità per il quadriennio 2015-2018 toccherà i 10,5 miliardi di euro, che si aggiungono ai 14,5 miliardi di tagli del periodo 2010-2014 (dati della Corte dei Conti). Sono queste le vere poste con le quali sono stati finanziati gli “80 euro di Renzi” e l’eliminazione delle tasse sulla prima casa. Come dire: “Ti diamo un po’ di soldi in più se riesci a goderteli e non muori prima per l’abbassamento dei livelli delle cure mediche”. Se poi ci si mettono pure le regioni come la Lombardia, che intende sottrarre la nostra salute ai medici di famiglia per consegnarla ad un “gestore”, che avrà a disposizione un tetto massimo di spesa per ciascuno di noi e le nostre cure (si inizia dai malati cronici) e se risparmierà potrà tenersi una parte del risparmio, si comprende bene a cosa stiamo andando incontro.
Non mancano ovviamente i finanziamenti per le ristrutturazioni, dove si raggiunge il massimo della fantasia: dal 2018 ci saranno detrazioni fiscali per chi si fa i giardini pensili! Sembra una barzelletta ma vi assicuriamo che è vero!
Così come sono rifinanziati i 500 euro di mancia ai neodiciottenni, senza prevedere alcun limite di reddito (quindi compresi i maggiorenni ricchi o super ricchi).
Mance anche ai dipendenti pubblici al posto dei recuperi salariali dovuti per il blocco del contratti quasi decennale. In questo caso però, purtroppo, la responsabilità non è solo governativa ma sindacale e trova la propria fonte nell’accordo sciagurato del 30 novembre 2016 firmato dal Governo con CGIL, CISL, UIL e CONFSAL e nel quale sono pattuiti 85 euro medi lordi di aumento ma solo dall’ultimo anno di contratto, il 2018. Per il 2016 e il 2017 altri due anni di blocco degli stipendi giacché sono previsti arretrati pari a circa 17 euro medi lordi mensili a fronte di un’indennità di vacanza contrattuale che è già di circa 10 euro.
Quello descritto non è il quadro congiunturale di un Paese che normalmente gode di buona salute. Tutt’altro. Abbiamo un’Italia sempre più a due velocità (Nord e Sud) ma le politiche economiche di questi anni, anziché avvicinare il Sud al Nord, sono riuscite a portare parte del Nord verso il Sud. Se esaminiamo la crescita del PIL regionale, infatti, possiamo vedere che alcune regioni come le Marche e l’Umbria, tradizionalmente associate al centro-nord, sono invece “scivolate” verso il Sud facendo registrare aumenti di PIL sensibilmente inferiori alla media nazionale. Si tratta di regioni che negli anni della crisi hanno dovuto accentuare la propria vocazione manifatturiera a bassa innovazione anziché riposizionarsi nei segmenti di produzione a più alto valore aggiunto.
La sintesi della salute del nostro Paese ce la dà il Global Innovation Index, che misura appunto il tasso di innovazione e di competitività del nostro Paese, indicando per ogni Stato i punti di forza e di debolezza. I dati che ci riguardano sono allarmanti: non riusciamo a trasformare le nostre grandi potenzialità creative, soprattutto nel design e nelle idee, in maggiore competitività a causa dei mancati investimenti in capitale umano e investimenti pubblici di base. A questo si aggiunge l’incapacità di attrarre investimenti esteri a causa del nostro farraginoso sistema di leggi, fiscali e civili, e dei nostri obsoleti modelli di business.
Siamo nell’era dell’economia della conoscenza e per non precipitare ancora di più sul mercato globale c’è bisogno di forti investimenti in capitale umano e di piani nazionali di innovazione manifatturiera. Entrambe le cose non portano consenso immediato come le mance elettorali, i bonus su assunzioni per un lavoro che non c’è o le detrazioni per i giardini pensili, ma hanno effetti duraturi nel tempo.
Avremmo bisogno di statisti, anziché di venditori. Prima ce ne rendiamo conto e prima ci risolleveremo. Una legge di bilancio che, invece, usa ancora una volta fantasie contabili e mance a fini elettorali non ci porta da nessuna parte.
LA SEGRETERIA GENERALE
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