LEGGE 104/1992, art. 33, comma 3: i permessi competono anche per il part-time verticale…

13 Ott 2017 - Notiziari FLP, Slider

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, nella sentenza n. 22925 del 29.092017.

La FLP informa che la Corte di Cassazione, con la sentenza n°22925 del 29.09.2017, confermando la decisione dei giudici della Corte di appello di Trento, che a loro volta avevano approvato la decisione di primo grado del Giudice del lavoro, ha riconosciuto il diritto alla integrale fruizione dei permessi mensili di cui all’art. 33, comma 3, L. 5 febbraio 1992 n. 104 per la prestazione di lavoro part-time articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario.

La vicenda ha riguardato un lavoratore dipendente, il quale aveva trasformato il proprio rapporto di lavoro da full-time in part-time verticale,  lavorando quattro giorni su sei a settimana (corrispondente ad un part-time verticale al 67%), che si era visto ridurre dal datore di lavoro che aveva riproporzionato i giorni di permesso in base alla percentuale del rapporto part-time da tre a due i giorni di permesso mensile retribuito di cui fruiva, per assistere la figlia affetta da handicap grave, già prima della trasformazione. Il lavoratore non ritenendo corretto quanto disposto dal datore di lavoro si era rivolto al Tribunale, quale giudice del lavoro, che gli riconosceva il diritto a fruire, anche dopo la trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto part-time verticale, dei tre giorni di permesso mensile di cui all’art. 33, comma 3, L. 5 febbraio 1992 n. 104 e, condannava la società datrice al risarcimento del danno non patrimoniale per effetto dell’illegittimo riproporzionamento dei giorni di permesso concessi.

Avverso la decisione di prime cure, il datore di lavoro e l’INPS proponevano appello alla Corte Territoriale che confermava la sentenza di primo grado impugnata e di conseguenza, proponevano ricorso in cassazione, dove i giudici nel riconfermare la decisione di appello, hanno sostenuto che:

  • In assenza di specifica previsione regolante la fruizione dei permessi ex legge n. 104/1992 per l’ipotesi di part-time verticale, il giudice di prime cure ha correttamente fatto riferimento alla disciplina dettata dall’art. 4 del DLvo 25 febbraio 2000 n. 61 (oggi abrogato ma ripreso dall’art. 7 del DLvo 15 giugno 2015 n. 81) di attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES.

        Tale disciplina, nel ribadire i divieti di discriminazione diretta e indiretta previsti dalla legislazione vigente, ha puntualizzato le implicazioni del divieto di discriminazione tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale, con particolare riferimento all’ambito di operatività del riproporzionamento in ragione della ridotta entità della prestazione di lavoro.

        In particolare, il comma 2 dell’art. 4 distingue, raggruppandole rispettivamente nella lettera a) e nella lettera b), le ipotesi in cui, in base al principio di non discriminazione, è esclusa la compressione o riduzione di una serie di diritti facenti capo al lavoratore, per effetto della riduzione della prestazione lavorativa (lett. a) e quelle in cui è consentita, invece, una proporzionale riduzione (lett. b.):

  • Nella prima categoria (lett. a) dove è esclusa la compressione o riduzione di una serie di diritti, sono annoverati, “l’importo della retribuzione oraria; la durata del periodo di prova e delle ferie annuali; la durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità; la durata del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia; infortuni sul lavoro, malattie professionali; l’applicazione delle norme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro; l’accesso ad iniziative di formazione professionale organizzate dal datore di lavoro; l’accesso ai servizi sociali aziendali; i criteri di calcolo delle competenze indirette e differite previsti dai contratti collettivi di lavoro; i diritti sindacali, “ivi compresi quelli di cui al titolo III della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni” con la precisazione che “I contratti collettivi di cui all’articolo 1, comma 3, possono provvedere a modulare la durata del periodo di prova e quella del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia qualora l’assunzione avvenga con contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale”.
  • Nella seconda categoria (lett. b.) si prevede il riproporzionamento in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, l’importo della retribuzione feriale, l’importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità. Resta ferma la facoltà per il contratto individuale di lavoro e per i contratti collettivi, di cui all’articolo 1, comma 3, di prevedere che la corresponsione ai lavoratori a tempo parziale di emolumenti retributivi, in particolare a carattere variabile, sia effettuata in misura più che proporzionale.
  • La disciplina dei permessi volta ad agevolare il genitore nell’assistenza del figlio minore con handicap grave, risponde ad esigenze di assistenza e di educazione delle persone inabili e alla tutela della famiglia, espressione di valori costituzionali. Pertanto, la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale risultava coerente, essendo innegabile il pregiudizio subito dal lavoratore il quale non aveva potuto accudire personalmente la figlia minore disabile, privandola di un aspetto relativo allo svolgimento della propria personalità in ambito familiare e sociale.
  • La domanda azionata dal lavoratore investiva il solo profilo inerente il rapporto di lavoro e non anche quello previdenziale, pertanto dando continuità al precedente orientamento della stessa Corte (Cass. 15/01/2005 n. 175) con il quale è stato chiarito che, come espressamente previsto dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992, è il datore di lavoro, e non l’ente previdenziale (INPS), il soggetto destinatario dell’obbligo della concessione di tre giorni di permesso mensile retribuito a favore del lavoratore che assiste una persona con handicap grave o parente o affine entro il terzo grado e convivente. “A tanto consegue la legittimazione passiva della parte datrice anche in ordine alla pretesa risarcitoria scaturente dalla dedotta violazione dell’obbligo di concessione dei permessi in questione”.
  • Sul contenuto normativo di una fonte di rango primario NON può incidere, la diversa interpretazione in merito all’obbligo di concessione dei permessi in oggetto, contenuta nelle circolari (ad es. circolare INPS n. 114 del 2008 ) degli enti previdenziali (INPS ed ex INPDAP).
  • “Il permesso mensile retribuito di cui all’art. art. 33, comma 3, L. 104/1992 costituisce espressione dello Stato sociale che eroga una provvidenza in forma indiretta, tramite facilitazioni e incentivi ai congiunti che si fanno carico dell’assistenza di un parente disabile grave. Come evidenziato da Corte cost. n. 213 del 2016, trattasi di uno strumento di politica socio-assistenziale, che, come quello del congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, è basato sul riconoscimento della cura alle persone con handicap in situazione di gravità prestata dai congiunti e sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale ed intergenerazionale. La tutela della salute psico-fisica del disabile, costituente la finalità perseguita dalla legge n. 104 del 1992, postula anche l’adozione di interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie «il cui ruolo resta fondamentale nella cura e nell’assistenza dei soggetti portatori di handicap» (sentenze n. 203 del 2013; n. 19 del 2009; n. 158 del 2007 e n. 233 del 2005). In questa prospettiva è innegabile che la ratio legis dell’istituto in esame consiste nel favorire l’assistenza alla persona affetta da handicap grave in ambito familiare. “…Risulta, pertanto, evidente che l’interesse primario cui è preposta la norma in questione – come già affermato da questa Corte con riferimento al congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 – è quello di «assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare, indipendentemente dall’età e dalla condizione di figlio dell’assistito» (sentenze n. 19 del 2009 e n. 158 del 2007)” ( Corte cost. n. 213 del 2016). Si tratta, in definitiva, di una misura destinata alla tutela della salute psico-fisica del disabile quale diritto fondamentale dell’individuo tutelato dall’art. 32 Cost., che rientra tra i diritti inviolabili che la Repubblica riconosce e garantisce all’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2 Cost.).”.

Secondo questa sentenza, sono pertanto “vietate le discriminazioni a carico dei lavoratori a tempo parziale, ma non si impedisce di ricalcolare i permessi mensili della legge 104 con il passaggio all’orario part-time”. 

La distinzione dovrà avvenire in base al part-time “verticale” (si lavora a tempo pieno solo alcuni giorni della settimana) oppure “orizzontale” (si lavora tutti i giorni feriali ma solo mezza giornata),quindi:

  • Se  il rapporto di lavoro si trasforma in part-time verticale con attività lavorativa (ad orario pieno o ridotto) limitata ad alcuni giorni del mese, il lavoratore ha diritto a fruire integralmente dei permessi riconosciutigli dalla legge 104/1992 goduti in precedenza se e soltanto se la prestazione superi un numero di giornate pari al 50% dell’ordinario, diversamente il numero dei giorni di permesso spettanti deve essere ridimensionato proporzionalmente. Se il lavoratore lavora di fatto almeno 4 giorni su 6 durante la settimana verticale, potrà chiedere comunque tre giorni di permesso Legge 104/92.  
  • Se il soggetto lavora conpart-time orizzontale, invece, dato che sarà occupato tutti i giorni la legge non cambia molto. Egli potrà  infatti usufruire di tre giorni di permesso ma per ogni giornata spetteranno meno ore perchè sono minori quelle lavorate, così come per il numero di giorni di ferie.

In allegato: la sentenza della Corte di Cassazione, n°22925 del 29.09.2017.

   Dipartimento Studi e Legislazione
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