La Corte Costituzionale dichiara legittimi i tagli sulla perequazione
Forse hanno prevalso le preoccupazioni sulla tenuta dei conti pubblici
Subito dopo l’udienza pubblica in Corte Costituzionale del 29 gennaio u.s., alcune OO.SS. dei pensionati avevano addirittura predisposto e diffuso dei modelli di richiesta all’INPS di adeguamento degli assegni e di corresponsione degli arretrati da parte dei pensionati che avevano subito, nel 2023 e 2024, la non piena rivalutazione delle proprie pensioni in ragione della parziale copertura disposta dalle due leggi di bilancio.
Una iniziativa francamente un po’ azzardata, evidentemente frutto di previsioni ottimistiche che si sono poi dimostrate infondate, proprio alla luce della sentenza n. 19/2025 della Corte Cost. che ha rigettato i ricorsi.
Come si ricorderà dai nostri diversi Notiziari, la legge di bilancio 2023 (legge n. 197/2022), in deroga all’art. 69, co. 1, della L. 23.12.2000, n. 388 (oggi per fortuna rispristinato dall’ultima legge di bilancio), ha disposto l’adeguamento pieno solo per le pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo, e un adeguamento parziale invece per le pensioni superiori (85% per importi tra quattro e cinque volte il minimo; 53% per importi tra cinque e sei volte; 47% per importi tra sei e otto volte; 37% per importi tra otto e dieci volte e, infine, 32% per importi superiori a dieci volte il minimo). Dunque, le penalizzazioni agivano da assegni pensionistici a partire da 2.200 € lordi. Una scelta che, a suo tempo, come CSE e FLP, abbiamo fortemente contestato sulla base di un ragionamento preciso: la pensione è retribuzione differita, non è una prestazione assistenziale né fiscale, e deve essere adeguata durante la quiescenza in relazione alle variazioni del potere d’acquisto, indipendentemente dall’entità dell’assegno.
Alcuni ex dirigenti scolastici in pensione hanno così proposto ricorso di fronte a Corti dei Conti Regionali, due delle quali – Toscana e Campania – hanno rinviato la questione al giudizio della Corte Costituzionale, la quale si è pronunciata con la sentenza n. 19/2025, pubblicata in G.U. il 19 febbraio u.s., affermando che il parziale adeguamento delle pensioni superiori a quattro volte il minimo “non ha leso i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza posti a garanzia dei trattamenti pensionistici” e giudicando “non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate” dalle due Corti dei Conti.
Secondo la Corte, “il meccanismo legislativo non è irragionevole” perché comunque “salvaguarda integralmente le pensioni di più modesta entità”, e pertanto “le scelte del legislatore risultano coerenti con le finalità di politica economica volte a contrastare anche gli effetti di una improvvisa spinta inflazionistica incidente soprattutto sulle classi sociali meno abbienti” e, del resto, comunque, “delle perdite subite dalle pensioni non integralmente rivalutate, il legislatore potrà tenere conto in caso di eventuali future manovre sull’indicizzazione dei medesimi trattamenti” (i virgolettati sono tratti dal comunicato del 14 u.s.).
La sentenza della Corte Costituzionale ha sorpreso parecchio, e tra i tanti anche noi, anche perché legittima di fatto una operazione finalizzata solo a far cassa con le pensioni, che pertanto potrebbe essere riproposta. Noi siamo convinti che, al di là di ogni ragionamento in punto di diritto, nella circostanza abbiano prevalso le preoccupazioni sulla tenuta delle casse pubbliche nel caso in cui fosse stata dichiarata l’illegittimità dell’operazione, che ha prodotto rilevanti benefici di cassa quantificati in 37 mld di euro circa a regime.
Non è la prima volta che succede, non sarà di certo l’ultima, ma davvero tante sono le perplessità che restano rispetto a una sentenza che crea indiscutibilmente un precedente pesantissimo.
Il Coordinamento Nazionale CSE FLP Pensionati