INPS blocca le domande per l’anticipo INPS DI TFS/TFR
La vergogna continua, nella disattenzione della politica
E’ proprio vero, come recita un vecchio adagio, che le notizie brutte non vengono mai da sole!
Dopo il “parere contrario” espresso alla Commissione Lavoro della Camera dalla Ragioneria Generale dello Stato sul disegno di legge presentato dall’on. Colucci e altri (“Atto Camera n. 1254”) che, anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 130/2023, prevedeva da una parte la riduzione dei tempi di corresponsione della prima rata di TFS/TFR e dall’altra il suo incremento rispetto a quanto oggi previsto (ne abbiamo parlato nel precedente Notiziario n. 6 del 25 marzo u.s.), arriva oggi una nuova brutta notizia che dà una ulteriore mazzata alle legittime aspettative dei neo pensionati pubblici di poter disporre in tempi più ravvicinati del TFS/TFR maturato in tanti anni di servizio.
Con msg. n. 1628 del 25 u.s., con riferimento alla “prestazione di anticipazione ordinaria del TFS/TFR in favore degli iscritti alla Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali (c.d. “Fondo Credito”), la competente Direzione Centrale dell’INPS ha comunicato che “le risorse finanziarie a essa destinate nel Bilancio di previsione dell’INPS per l’anno 2024 sono, sulla base delle stime effettuate, in via di esaurimento”, motivo per il quale “a partire dal 25 aprile 2024 è inibita la presentazione di nuove domande”; inoltre, “le domande, per le quali la proposta di cessione pervenuta dall’utente abbia superato la verifica di capienza, devono essere esitate con le consuete modalità” e, in ordine alla gestione di quelle non ancora elaborate, le Sedi INPS dovranno attendere “ulteriori istruzioni operative”.
Dunque, le disponibilità finanziarie dell’INPS per far fronte alle numerosissime domande di anticipo ordinario del TFS/TFR provenienti da lavoratori pubblici collocati in pensione, stanno per finire, e per questo l’Istituto a far data dal 25 aprile u.s. ha chiuso i rubinetti impedendo la presentazione di nuove domande.
A tal riguardo, con l’auspicio che il nuovo Presidente INPS Gabriele Fava, in carica dal 18 u.s. e al quale vanno i nostri auguri di buon lavoro, possa trovare una soluzione al problema magari attraverso un rifinanziamento adeguato, sono due le considerazioni di primo acchito che questa vicenda sollecita.
La prima, è che, dopo aver così tanto magnificato la decisione del proprio Consiglio di Amministrazione dell’epoca (delibera n. 219 del 9.11.2022) di assicurare ai dipendenti pubblici, cessati dal servizio e iscritti al Fondo Credito, l’anticipazione di TFS/TFR applicando un tasso di interesse dell’1% dell’importo erogato a carattere fisso per tutta la durata del finanziamento più un ulteriore 0,50% una tantum per spese di amministrazione, successivamente resa operativa dal 1 febbraio 2023 (ne abbiamo riferito nel Notiziario CSE FLP Pensionati n. 3 del 30.01.2023), INPS ne ha poi ridotto la portata in quanto, a fronte di un prevedibile alto numero di domande, per l’anno in corso ha destinato a questa operazione risorse palesemente insufficienti, come dimostra il fatto che a meno di un terzo dell’anno sono già esaurite.
La seconda considerazione è però ancora più amara, e costituisce quella autentica “mazzata” alla quale facevamo riferimento in apertura di Notiziario. A fronte dell’impossibilità oggi di accedere all’anticipo INPS, al lavoratore pubblico neo-pensionato restano solo due strade, evidentemente alternative tra loro:
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attendere i tempi biblici di erogazione del TFS/TFR maturato per come previsto dalle norme vigenti (entro 105 giorni, in caso di cessazione dal servizio per inabilità o per decesso; dopo 12 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, in caso di raggiungimento del limite di età oppure per risoluzione unilaterale del datore di lavoro a seguito del raggiungimento dei requisiti della pensione anticipata; dopo 24 mesi dalla cessazione in tutti gli altri casi (dimissioni volontarie con o senza diritto a pensione, licenziamento/destituzione, ecc.); infine, per chi accede alla pensione con “quota 100” o “quota 102” o “quota 103”, il ritardo è ancora maggiore, in quanto i trattamenti di liquidazione vengono erogati solo al raggiungimento del requisito di vecchiaia (67 anni) o di quello per la pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi per gli uomini, un anno in meno per le donne);
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oppure, ricorrere, all’anticipo del proprio TFS/TFR da parte di Istituti di credito in base allo specifico accordo tra Governo e ABI (Associazione Bancaria Italiana) sottoscritto nel 2020 e che successivamente, con DM 1.08.2022 pubblicato nella GU n. 223 del 23.09.2022, è stato prorogato per ulteriori 24 mesi, accordo che consente ai lavoratori pubblici di poter accedere all’anticipo TFS/TFR nei limiti dell’importo netto di 45.000 euro, ma alcune Banche consentono anche l’anticipazione di tutto il TFS maturato certificato da INPS (“cessione ordinaria” ex DPR 180/1950). Ma sempre e comunque con costi bancari molto alti, e che arrivano oggi anche al 5%, a causa dell’aumento dei tassi di interesse e del c.d.“rendistato”, ultimamente lievitato.
Prospettive entrambe poco allentanti, che appesantiscono una vicenda, quella dell’erogazione del TFS/TFR ai lavoratori pubblici collocati in pensione, e che rappresenta una “vergogna assoluta”, come la dichiarò il Segretario Generale FLP Marco Carlomagno nell’intervista al Messaggero del 17 agosto 2022.
Un vergogna che nasce dalla differenza di trattamento tra lavoratori pubblici e privati in merito all’indennità di fine rapporto: i lavoratori privati percepisco il TFR al momento del collocamento in pensione e lo percepiscono in tutto il suo maturato economico, a differenza dei lavoratori pubblici che percepiscono la loro “liquidazione” in tempi che arrivano anche fino a 5 anni come abbiamo prima ricordato, e in aggiunta anche in forma rateale: un’unica soluzione, se l’importo è pari o inferiore a 50.000 euro; due rate annuali, se l’importo è compreso tra i 50.000 e inferiore ai 100.000 euro, la prima pari a 50.000 euro e la seconda pari all’importo residuo; tre rate annuali, se l’importo è pari o superiore a 100.000 euro. Una disparità di trattamento che peraltro fa il paio con altre disparita sul punto che il lavoratore pubblico vive pure nel corso della sua vita lavorativa, in primis l’impossibilità di richiedere fino al 70% del TFR maturato per spese sanitarie, acquisto prima casa e spese in congedo, possibilità assicurata oggi solo ai lavoratori privati.
Di fronte a questo stato di cose, e dopo averlo già fatto nel 2019 (sentenza n. 159), si è nuovamente espressa la Corte Costituzionale che, con sentenza n. 130 del 23 giugno 2023 (si veda il nostro Notiziario n. 17 del 27.07.2023), ha affermato come non sia giustificabile il differimento/rateizzazione del TFS per chi “va in pensione per raggiunti limiti di età o di servizio”, e dunque in primis per i “pensionamenti di vecchiaia”, invitando al contempo il legislatore a rimuovere questa condizione, cosa che il legislatore sinora non ha fatto, nonostante le ripetute sollecitazioni venute dal fronte sindacale, e in primis da CSE e FLP. E anche quando c’è stato il tentativo di dare soluzione pur parziale al problema, come il DDL Colucci, sappiamo poi che fine ha fatto.
Noi pensiamo invece che sia solo questa la strada maestra per risolvere definitivamente il problema, e cioè il varo di una legge che rimoduli e riallinei tra loro le diverse norme in materia di indennità di fine rapporto, che assicuri sul punto pari trattamento tra lavoratori pubblici e privati, sia in corso di vita lavorativa che al momento del collocamento in pensione.
Solo così, l’“opzione anticipi TFS/TFR” non avrebbe più ragione di esistere, e con essa le forche caudine alle quali il neo-pensionato pubblico deve oggi sottostare, e in questa direzione continueremo a muoverci e lavorare.
Il Coordinamento Nazionale CSE FLP Pensionati